lundi 12 février 2018

Carlo Grassi, La comunità dei consumatori


Sommario: 1. Il sistema integrato delle immagini tecniche; 2. Per la xenofilia; 3. Der Waldgänger; 4. Il diritto alla fuga; 5. Fusione (e confusione) tra ricerca e obiettivo; 6. Particolarismo geografico e globalismo culturale; 7. Volere solo la libertà e non il comando;


1. Il sistema integrato delle immagini tecniche

«Il nomade che viaggia senza radici e senza casa  non  è  altro  che l'uomo della tecnica» (E. Jünger)

 L'universo sociale contemporaneo si è sviluppato in correlazione con un evento fondamentale: la proliferazione generalizzata delle immagini e del loro modello costitutivo in tutti gli ambiti dell'esperienza umana. Si tratta di ciò che può essere definito come il momento in cui la tecnica dispiega in tutta la sua potenza un'azione modellizzante di organizzazione strutturale del mondo. Confusamente assemblate nel panorama metropolitano, proposte singolarmente sui giornali o nei manifesti pubblicitari, offerte nel montaggio rapidissimo, disordinato e travolgente di una sequenza cinematografica o televisiva, le immagini tecniche risultano in grado di promuovere il proprio sistema di produzione sociale di realtà come modello universale: un sistema di strutturazione socio-antropologica in base al quale gli attori sociali, invece di servirsi delle immagini per orientarsi nel mondo, passano direttamente a vivere, desiderare, valutare, conoscere e agire per mezzo di esse. Tecnologie come la telematica, idonee a convogliare in un unico contesto immagini, suoni e parole, danno vita ad un complesso di collegamenti trasversali fra ricevitori, in grado d'interrompere l'interdizione millenaria che da sempre ha impedito alla maggior parte degli individui d'avere accesso alle forme istituzionalizzate della comunicazione sociale; di annientare i confini linguistici e geopolitici; d'inaugurare un inedito rapporto con il passato e con la tradizione; di proporre computer, televisione e tv-set come nuovi quadri sociali della memoria. Si comincia così a scoprire che le immagini tecniche non sono necessariamente portatrici di discorsi imperativi, ma, soprattutto, di dialoghi intersoggettivi. Identificando il discorso con il totalitarismo e il dialogo con la democrazia, possiamo constatare, allora, che la struttura comunicologica della nostra epoca rende concretamente presente una società cosmico-democratica, il villaggio globale di Mc Luhan: una situazione in cui la cultura del lavoro si è infranta sulle asperità umane del sociale e i conflitti tra fronti politici si sono sciolti nello scontro tra politica tutt'intera ed esistenza materiale della collettività. É sufficiente fare riferimento alla vita quotidiana di una qualsiasi metropoli per verificare che nello stesso spazio coesistono persone la cui differente provenienza non impedisce di coabitare, ma che non hanno necessariamente dei sistemi comuni di codificazione simbolico-normativa. La loro interazione attraversa più livelli di convenzioni comuni, ma mette anche in evidenza dei minimi o dei massimi d'indifferenza, di non contatto, di diffidenza e di conflitto aperto. Occorre, dunque, comprendere che le interruzioni nella comunicazione, le ostilità, le contese, i contrasti violenti o non violenti tra culture diverse e la coesistenza nella diffidenza non sono necessariamente negativi e possono costituire, invece, l'incongruità iniziale di un nuovo tipo d'incontro umano e di scambio sociosimbolico: una forma dei rapporti sociali che, grazie al sistema integrato delle immagini tecniche, può «aprire - e aprirsi a - quello spazio di libertà che coincide con un'inessenzialità irrimediabile: e cioè con nient'altro dalla propria esistenza. Essa conserva amorosamente le tracce del proprio "niente politico". Conserva e attende: anche l'ospite più inaspettato. Il più straniero; è anzi la sua terra.» (R. Esposito, p. 28) In un tale spazio di libertà le singolarità sociali possono rinunciare al conflitto o, almeno, trasformarlo radicalmente, costringerlo a divenire passivo: a mostrarsi sotto forma di scarto d'intensità, di pratica di resistenza, di strategia di alleanze e filiazioni, onde e corpuscoli, flussi e oggetti parziali, linee di fuga infinitesimali. In questo nuovo quadro, infatti, le dinamiche sociali sono portate a privilegiare dei beni e dei valori appartenenti a quello che Alfred Schütz chiamava «il mondo della vita». Dei beni e dei valori che non possono in alcun modo fungere da equivalenti generali per lo scambio, ma appartengono ad un ambito totalmente differente: quello delle verità personali e fisiche, della salute o del benessere psico-fisico di ciascun individuo. Entità che sono oggetto di continue negoziazioni di ognuno con se stesso e di ognuno con gli altri, ma non sono assolutamente ipostatizzabili in unità di misura commensurabili in modo omogeneo ed equivalente, né riducibili ad alcuna economia di mercato.


2. Per la xenofilia

«Anche noi, siamo dei rifugiati, abbiamo dovuto lasciarla, la nostra casa delle certezze, delle risposte a tutti i perché. Dove arriveremo? Quale oltremare? "Nowhere" vuol dire da nessuna parte. Ma questo "nowhere" contiene - now, here - "qui" e "ora". Un piccolo miracolo della lingua. É lì che si apre, forse, il nostro oltremare. Al di là del paese del nulla - nel paese del Qui, dell'Adesso.» (E. Tadini)

Anche nei termini di una riflessione sociologica sul rapporto tra media e potere, quindi, ciò che fa problema oggi è l'emergenza di un sistema comunicativo a vocazione planetaria. Tale sistema, fondato sulla supremazia del mostrare sul dire, sembra inaugurare dei nuovi criteri di mediazione simbolica in grado di favorire la messa in comune, la partecipazione, la condivisione: in una parola, dei modelli orchestrali di comunicazione. All'orizzonte di questo scenario c'è l'intersecazione tra il sapere occidentale e quello orientale: un movimento che ha vissuto tra i suoi recenti e più grandiosi passaggi il franare disastroso dell'Impero d'Oriente, il sistema del socialismo reale. I suoi caratteri principali sono:
1. Il fenomeno generalizzato delle emigrazioni.
2. La diffusione massiva di un plurilinguismo che, con una forza d'espansione inarrestabile, opera nella direzione di abbattere la maggior parte degli interdetti comunicativi che hanno assillato l'umanità fin dal tempo della caduta della torre di Babele.
3. La caduta dei confini geografici nazionali e l'implosione dell'istituto della nazione.
4. La dissoluzione della bussola geopolitica d'orientamento che divideva il mondo in est-ovest, nord-sud, centro-periferia, metropoli-suburbio.
«Qui si pone la questione intermediaria di sapere su chi far ricadere il lavoro umile nel caso di uno Stato universale. In questo Stato, a causa della sua natura, non ci possono essere né colonie né sfruttamento di granai, e nemmeno differenze tra lavoro dei "bianchi" e quello delle "popolazioni di colore" - tutti quei profitti che gli Stati altamente sviluppati hanno tratto sin dall'Antichità, grazie alla loro superiorità tecnica, militare e politica, delle messi e dei prodotti dei territori conquistati: in una parola, i vantaggi di un lavoro mal pagato o non pagato del tutto.  [...]   Che la questione dell'eliminazione del lavoro servile debba essere risolta con dei mezzi tecnici, quantitativamente attraverso lo sviluppo di robot e di automi, qualitativamente con un raffinamento ed una metamorfosi delle materie prime in modo tale che il loro obiettivo e la loro ampiezza sono ancora quasi inimmaginabili - ciò deve essere concepito come una delle imprese possibili tra molte altre, non come un progetto ma come uno dei mezzi del mondo in formazione. Questo proviene dall'apporto, dalla dote, della Figura dell'Operaio. L'obiettivo della tecnica è una spiritualizzazione della terra." (E. Jünger 2, p. 74)
All'epoca del dominazione compiuta della tecnica, la nozione di agire politico si deve, dunque, misurare con il tentativo di ricomposizione in nuclei problematici dei tre livelli fondamentali dove si esprimono con maggiore forza le spinte che contrastano la formazione del nuovo sistema-mondo nei termini dell'allargamento delle autonomie, dei diritti e delle pari reciprocità:
1. Il rapporto tra le differenti storie della civiltà che si sono articolate sia secondo ritmi diversi di crescita economica ed eterogenei sistemi produttivi che sulla base di discordanti valori di comunicazione, di scambio sociale e di orientamento culturale.
2. Il rapporto tra la natura umana e i sistemi sia ecologici che sociali.
3. Il rapporto tra natura e cultura, inconscio e coscienza, azione e retroazione, pulsioni e razionalità: in un orizzonte per il quale la specificità della natura umana non appare contrassegnata dalla contrapposizione tra uomo e mondo, ma dall'individuazione della posizione dell'uomo all'interno della natura stessa.
Per questo tentativo di riconciliazione è fondamentale l'inarrestabile progressione e diffusione della disposizione alla xenofilia, nonché della lotta in suo favore e in sua difesa. Questa disposizione, sorta dal seno della società immaginale, si anuncia come ciò che può agire da punto di riferimento e da indicatore capace di concatenare tra loro livelli differenti come la transizione e la rivoluzione o forme politiche diverse come quelle statali, le feudali e le arcaiche. Il campo di solidarietà dischiuso dalla xenofilia produce una nuova forma di soggettivazione collettiva in cui ogni soggetto, ogni elemento, ogni segmento si fa coscienza degli altri: salda se stesso e gli altri nel movimento relazionale dell'evento, dell'esperienza. Movimento di consumo in cui ciò che è consumato non è un oggetto, ma un rapporto: in cui, di conseguenza, il sé, nella sua coscienza-inconsciente, è sempre scisso dalla possibilità impossibile d'essere se stesso e altrui. Il sistema sociosimbolico di questo nuovo ordine induce l'uomo a confrontarsi radicalmente con il proprio corpo e ad entrare in una sorta di stato di ebbrezza nel quale le forze e le pulsioni che provengono dal suo interno lo spingono a smarrire la nettezza delle polarità soggetto-oggetto, reale-immaginario, essere-mondo, continuo-discontinuo. Posto in una tale condizione, l'uomo appare insieme soggetto che agisce e oggetto patito per l'azione, nello stesso tempo colui che crea e oggetto creato dalla sua stessa interpretazione-intervento che, a sua volta, si dispiega secondo una disposizione che gli dà la possibilità di oltrepassare la coscienza riflessiva del soggetto stesso per situarsi nella dimensione nell'inconscio-conscienza. Questo spazio è un luogo d'indiscernibilità e un luogo di scambi, dove le pulsioni agiscono ad un voltaggio più basso come delle protensività e come delle potenzialità, delle micro-intensità a forza e vettore variabili a carattere incoativo e ondulatorio. «Oltre che nel loro valore strumentale le cose ci potranno così apparire come testimonianza del lavoro umano, come espressione di una realtà culturale e come ricordo del passato. Potremo allora riconoscere il significato che le cose hanno assunto nella storia dell'esperienza umana, mettendoci in ascolto del linguaggio delle cose, senza sovrapporre ad esse una logica dettata solo dalla nostra avidità.  [...]   Anche in questo caso viene mostrandosi l'esigenza di riconoscere una dimensione d'alterità che, se da un lato, appare come un limite, dall'altro, costituisce, attraverso a richiesta d'attenzione a ciò che è fuori di noi, un momento de maturazione dell'esperienza esistenziale.   [...]   allora la responsabilità verso l'altro si manifesta come assoluto rispetto della sua differenza e debito infinito nei suoi confronti.» (F. Crespi, pp. 94, 95, 21) 


3. Der Waldgänger

«Poi è venuto il cinema e con la dinamite dei decimi di secondo ha fatto saltare in aria questo mondo simile a un carcere; così noi siamo ormai in grado di intraprendere tranquillamente avventurosi viaggi tra le sue sparse rovine.» (W. Benjamin )

La società immaginale, il mondo all'epoca dell'infinita proliferazione d'immagini addestra a scomporre l'insieme composito della realtà in scene o quadri: l'opacità della vita sociale diviene improvvisamente squarciata da finestre che schiudono delle aperture luminose e fantasmagoriche sull'estraneità del fuori. Un panorama d'immagini che, oltre ad ritagliare il mondo, inquadra anche il modo con il quale lo spettatore osserva lo spettacolo e, dunque, riporta continuamente gli oggetti di pensiero all'evento dell'averne fatto esperienza: all'interazione incessante tra il fuori e il dentro di sé, alla fusione d'esteriore e interiore che si realizza nella loro apprensione empirica. L'immagine tecnica infatti, per mezzo della propria inquadratura, guarda gli occhi stessi che la scrutano e questi occhi, per afferrarla, devono essere capaci di vincere e d'incorporare l'altro sguardo. In questa costellazione di figure, il movimento cinetico e la motilità di pensiero s'identificano in una perpetua confusione tra il sé come oggetto e l'oggetto in quanto altro da sé. Captare e manipolare un'immagine tecnica significa, pertanto, identificarsi negli altri, fare corpo con loro, impadronirsi d'un nuovo tempo che è al di là delle categorie passato-presente-futuro, comunicare con lo spazio nuovo d'un paesaggio che è al contempo esteriore e interiore: moltiplicare la propria identità nell'immagine dell'altro. Considerare il mondo come un panorama d'immagini causa la violenta insoddisfazione di vivere nei limiti d'un'unica personalità - passione per la maschera, il teatro, il travestimento - e, dunque, comporta un accrescimento dell'interesse per la condivisione d'identità con gli altri individui - formazione di gruppi e stile comunitario. Ciò che viene messo in causa è, dunque, il rapporto del soggetto sociale con se stesso e la possibilità per lui di riconoscersi in quanto soggetto indipendente e autonomo. Ciò che è prodotto dalla proliferazione d'immagini tecniche è, allora, la fascinazione per un sé moltiplicato dagli altri, assorbito da una presenza più ricca. Il che significa essere sempre e necessariamente esposti alla condizione di uno spossessamento radicale di se stessi, di un definitivo e perpetuo esilio: condizione che manda in frantumi l'unità stato-nazione-territorio e spezza risolutivamente l'identità uomo/cittadino e natività/nazionalità. L'esilio, infatti, si presenta come l'unico luogo in cui può scegliere di stabilire la propria dimora il Waldgänger: «Colui il quale nel corso degli eventi si è trovato isolato, senza patria, per vedersi infine consegnato all'annientamento», ma che, pure, è «deciso a opporre resistenza : il suo intento è dare battaglia, sia pure disperata.» (E. Jünger 1, pp. 41-42)
La xenofilia si espande a dismisura privilegiando invece della capacità di produrre linguaggio, cultura, utile, la facoltà umana di attingere al mito, alla magia, alla dismisura, al disordine: facendo leva su ciò che, per essere significante a livello collettivo, si sente come inintelligibile nello scambio comunicativo tra singoli. Sostenendosi non sul modello omogeneo della produzione, ma su quello eterogeneo della circolazione: sui molteplici binari della propagazione e del consumo. Un'eterogeneità che serve a preparare il mondo, successivamente alla scomparsa del quadro geopolitico disegnato a Yalta sulla polarità est/ovest, non più alla guerra contro il nemico e all'obbedienza; ma all'autonomia dei singoli individui ed all'integrazione delle etnie, delle razze, delle classi, che ne compongono il nuovo mosaico. Un'eterogeneità che s'instaura a partire dal suo essere situata nel non-luogo dell'esilio, che detiene in sé come suo irrinunciabile valore quello dell'assenza di ogni patria, che mantiene come proprio inesauribile compito l'assoluta non appartenenza a null'altro che alla propria ex-sistenza. Un'eterogeneità che genera dispositivi di coesione «tra individui che si identificano molto l'uno nell'altro (si innamorano anche), ma non si identificano più in nessunissimo capo» (G. Celati, p. 162): un'eterogeneità che non si riconosce in nessunissimo capo, ne padre, ne testa, ma solo in quell'orizzonte di socialità che Georges Bataille descriveva come di adesione al carattere acefalo dell'esistenza. Questo esilio deve essere inteso, dunque, non solo come perdità della casa, Heim, o della patria, Heimat; ma, soprattutto, come spazio ex-île, territorio all'interno del quale non è più possibile godere delle garanzie della polis: luogo eterotopico in cui si può vivere senza essere sottomessi alle regole del gioco che vigono nella polis, «Luoghi solitamente effimeri (o adatti a migrazioni periodiche), in cui il flusso narcisistico del protagonismo individuale e collettivo privilegia una condizione "corporale", fisicamente disinibita, e ama la casualità dei travestimenti (contro il tempo e lo spazio), indulgendo con più piacere verso i linguaggi "tribali", realizzati e garantiti proprio dall'alto livello di "sofisticazione" tecnologica». Luoghi «in cui abbiamo la misura espressiva di un "popolo" radicalmente creato ed educato dai media, ibrido dal punto di vista sociale per quanto attiene all'origine, ma certamente non per quanto riguarda il gusto e il comportamento, insomma l'immaginazione.» (A. Abruzzese, pp. 109-10) Luoghi che si presentano, seppure solo come orizzonte e come limite, cioè nel loro essere assenti, inoperosi, inconfessabili; come l'unica patria possibile in un mondo dove le potenzialità che offrono i mezzi di comunicazione di massa hanno aperto la strada all'assoluta autonomia delle singolarità, ma anche alla loro vertiginosa integrazione. Delle possibilità, quelle promosse dai mass-media, che operano sia da un punto di vista letterale, cioè come forme di orientamento che sollecitano grandi masse a trasferirsi dal proprio luogo di nascita per installarsi momentaneamente o durevolmente non importa dove; sia da un punto di vista immaginario e simbolico, cioè come libero accesso al conoscere e al comunicare con luoghi altri, culture eterogenee ed esseri umani che risiedono o provengono da ogni parte del sistema-mondo; sia da un punto di vista artificiale o virtuale, cioè come possibilità di oltrepassare le coordinate spazio-temporali sottoposte alle leggi della fisica e attraversare gli spazi ipotetici dell'elettronica. La possibilità di conoscere e di poter comunicare con gli altri senza pregiudizi d'alcun tipo pongono, da un lato, la questione fondamentale dell'incontro tra le civiltà occidentali e quelle orientali: la possibilità sempre meno utopica e più vicina di un nuovo matrimonio tra Alessandro Magno e Rossana nel quale possa essere celebratata un'altra volta la fusione fisica, intellettuale e sentimentale, tra l'Europa e l'Asia. E, d'altro lato, impongono all'ordine del giorno la fuoriscita dall'egemonia esercitata dai popoli di pelle bianca su quelli di colore.
Di fronte a questa carta strategica dell'attualità, procediamo ad un'analisi delle possibilità inscritte in essa con la segreta speranza di pesare sulla scelta dei combattenti. Perché, dunque, i grandi sconvolgimenti in atto continuino a procedere nella direzione indicata, è necessario nutrire il più possibile la disposizione della e alla xenofilia e, per fare ciò, appare come ancora più necessario decidersi in favore della condizione di un definitivo e perpetuo esilio.


4. Il diritto alla fuga

«Fuggire non significa affatto rinunciare alle azioni, non c'è niente di più attivo di una fuga.   [...]   Il grande errore, il solo errore, sarebbe quello di credere che una linea di fuga consista nel fuggire la vita. Ma fuggire al contrario significa produrre del reale, creare vita. In un certo modo si può dire che, in una società, quel che è primario sono le linee, i movimenti di fuga. Queste, infatti, lungi dal costituire una fuga fuori dal sociale, lungi dall'essere utopiche o  anche ideologiche, sono invece costitutive del campo sociale, di cui tracciano la pendenza e le frontiere, tutto il divenire.» (G. Deleuze)

Le procedure in cui si articolano l'espansione e la contrazione del bisogno di ordine o di disordine stabiliscono la base di un regolato sviluppo della dinamica sociobiologica attraverso la possibilità di tenere in equilibrio delle spinte opposte le une alle altre: per mezzo, cioè, della produzione di sistemi omeostatici relativi a dinamiche equilibrantesi per autocorrezioni successive mediante fluttuazioni o catastrofi, oppure squilibrantesi definitivamente in una spirale che le porta alla distruzione totale. Ma, naturalmente, come ha scritto Rudolf Arhneim: «l'equilibrio omeostatico consente certo di vivere, ma poco contribuisce a vivere bene». (R. Arnheim, p. 67) Dunque, se la necessità comporta uno sforzo e una tensione diretti verso l'equilibrio, verso la sopravvivenza, è il superfluo che permette di valorizzare la libertà singola e collettiva e, quest'ultimo, è figlio del contingente, dell'improbabile, del disordine. Allora, la lotta in favore della xenofilia, cioè a sostegno della possibilità di trasformare la spinta implosiva relativa alla continua aggressione rappresentata dall'ineguaglianza reale - la coercizione all'omogeneizzazione di ritmi temporali e di modelli di produzione sociosimbolica sulla scala del sistema-mondo - in vettori di attività e di energia che rimandino a forme d'interazione liberamente scelte, può essere data solo dalla capacità di volgersi verso la fuga o verso la lotta, verso la fuga e verso la lotta: dispositivi che sono suscettibili, attraverso il détournement spaziale-intervento sul sistema sociale in vista di una sua modificazione, di creare eventi, situazioni, alea, imprevedibilità. In effetti, come ha scritto Albert Hirschmann: «Gli attori sociali hanno generalmente la scelta tra due modalità d'azione per lottare»: «si tratta, in primo luogo, della defezione (exit), cioè l'abbandono della relazione nella quale s'interviene in quanto acquirente di una merce o in quanto membro di un'organizzazione, che sia un'impresa, una famiglia, un partito politico o uno Stato; e, in secondo luogo, della protesta (voice), cioè il tentativo di correggere e migliorare questa stessa relazione esponendo le proprie rimostranze, contestazioni e rivendicazioni.  [...]   Fare defezione significa disimpegnarsi da una relazione stabilita con una persona o una organizzazione. Se questa relazione risponde ad una funzione vitale, il ritiro non è possibile che se si ha il modo di riannodare un legame analogo con un'altra persona o un'altra organizzazione. [...]  Inoltre, frequentemente è necessario coniugare gli sforzi di numerose persone perché la protesta sia efficace e, dunque, il suo successo dipende dalle possibilità di realizzazione di un'azione collettiva. Malgrado queste difficoltà, la protesta esiste o, per meglio dire, essa è arrivata ad esistere. La sua storia è, in larga misura, quella del diritto di criticare l'autorità, delle salvaguardie giudiziarie, della protezione contro le rappresaglie (il voto segreto, ad esempio); è anche quella dell'ascesa dei sindacati e delle associazioni di utenti o di consumatori. Queste organizzazioni hanno la funzione di fare intendere la voce di gruppi o d'individui che una volta erano ridotti al silenzio. Parallelamente, la storia del diritto alla defezione è quella dell'allargamento del mercato, del diritto alla libera circolazione, all'emigrazione, all'obiezione di coscienza, al divorzio, ecc.» (A. Hirschman, pp. 57-58-60) É importante sottolineare come la minaccia o la semplice consapevolezza che una defezione è possibile conferiscano una forza ed una sicurezza nuove alla protesta. Oggigiorno, dunque, la coscienza diffusa che la possibilità di defezione consolidi enormemente la forza di chi si oppone, dona un'importanza sempre crescente al diritto di fuga e al fatto che esso debba essere garantito in pari misura di quello di parola, di contestazione o di replica. Nel contesto attuale, infatti, la possibilità di lasciare una città, una regione o un continente, è divenuta un elemento capitale della sfera di agire politico con cui, a giusto titolo, si misura ciascun individuo del villaggio globale. Prospettiva, questa, che pone una nuova legittimità alla domanda di apertura delle frontiere, di riduzione dei costi relativi ai mezzi di trasporto e di comunicazione, di ampliamento della libera circolazione economica, di estensione della tolleranza religiosa, di espansione dell'autonomia politica: parole d'ordine che, seppure in modo discontinuo, stanno entrando di viva forza nel panorama rivendicativo ovunque nel mondo. Questo processo va difeso e alimentato con tutte le forze disponibili, cioè sia con quelle dell'intelligenza, sia con quelle del cuore. I dispositivi che fanno capo a lotta e a fuga, o, come dice Hirschmann, a voice  ed a exit, sono delle procedure capaci di opporre al tempo della ripetizione, della perpetuazione, della riproduzione, il tempo della resistenza, del mutamento, del nuovo. Un tempo che detiene la forza d'innescare un processo metaforico d'emergenza: un salto discontinuo tra livelli disomogenei di organizzazione che implica la capacità non solo di raggiungere lo scopo, rispondere alle aggressioni; ma anche di cambiare scopo, di aprirsi al principio eterogeneizzante della tradizione del nuovo, del futuro anteriore, la cui finalità risiede nel voler ridurre il quantum di malessere, d'infelicità, di angoscia, di odio, che pesa sull'essere umano.


5. Fusione (e confusione) tra ricerca e obiettivo

«In effetti, se il XIX sec. declinante e gli inizi del XX hanno visto l'avvento del veicolo automobile, veicolo dinamico, ferroviario, stradale quindi aereo, sembra proprio che la fine dell secolo annunci un'ultima mutazione, con la prossima venuta del veicolo audiovisuale, veicolo statico, sostituto dei nostri spostamenti fisici e prolungamento dell'inerzia domiciliare: un'inerzia che sta al paesaggio percorso come il fermo-immagine sta al film.» (P. Virilio)

Con l'irremissibile dissolvimento dello Stato Leviatano, nazionale o sovranazionale che sia, viene a cadere anche il sistema logico nutritosi sulla giustapposizione e la rappresentabilità reciproca della forma nuove soggettività sociali contro la forma-stato, della formazione atomistica contro quella per gruppi, del molecolare contro il molare: per comprendere bene come «quella odierna è una società senza vertice e senza centro». (N. Luhmann, p.164)  A questo sistema se ne sostituisce un altro articolantesi sulla complessa negoziazione sistemica tra istanze religiose, metafisiche, politiche ed economiche; nonché su di una forma del sapere sociale di tipo circolare e autoreferenziale. In tale circolarità, i differenti ordini dell'individuale, collettivo, locale e globale coesistono in un unico corpo e non sono più in opposizione. I conflitti, quindi, si spostano su di un altro terreno: sulla giustapposizione tra creazione di senso e valori socialmente condivisi, indeterminatezza dell'agire come evento e determinatezza dei significati e delle norme condivise. All'interno di questi antagonismi, il punto cruciale si situa nell'incontro-scontro tra il dinamismo autopoietico dei singoli segmenti sociali e la loro necessaria interdipendenza che tende a strutturarli in configurazioni più o meno stabili ed equilibrate: in trame stabili d'interazione. Ad una estremità, infatti, ci sono le istituzioni: che fungono da forza d'inerzia che ostacola, ma anche ratifica i mutamenti sociali. Ad un'altra estremità ci sono, invece, le pratiche sociali minime, che agiscono nei termini di depositarie dei possibili futuri, di limite e orizzonte del nuovo, del diverso, del domani. Ne risultano evidenziate e messe in valore delle pratiche comunicative che acquisiscono senso solo sulla base delle loro interazioni con i processi relativi ai molteplici teatri d'operazione in cui di volta in volta si trovano ad operare. Scenario all'interno del quale gli «unici elementi avvertiti come universalizzabili sono l'amore e la morte, la gioia e la sofferenza, lo "star bene" e lo "star male", cioè l'universo emozionale cui fa riferimento un film di cassetta o una buona campagna pubblicitaria.» (Alberto Abruzzese, p. 107) Le pratiche di cui si parla stabiliscono dei livelli minimali d'interazione sociale che si fondano su di un grado bassissimo d'intervento - il semplice innesco di una resistenza - e s'istituiscono come delle situazioni circolari: come delle strategie complesse a effetti multipli il cui perno principale viene rilevato a partire dal punto d'incontro in cui si manifesta la possibilità per delle persone di stare insieme. In questo tipo tipo di pratiche, in cui i differenti attori lavorano all'elaborazione di spazi comuni, si possono vedere apparire dei processi sociali di raccordo, fondati sulla non competizione, che presuppongono l'instaurazione di distanze tra gli individui solo nei termini di spazi di gioco e di linee di fuga. Il profilo di circoscrizione di questo campo è di primaria importanza perché designa l'unico livello sul quale possono incontrarsi e comunicare tra loro Occidente, Oriente, Nord e Sud del mondo: si tratta di un modello che si dispiega come una sorgente opaca in grado di generare una corrente di socialità in cui «sono possibili certamente dei conflitti, e anzi, la soluzione di quelli personali, interpersonali e situazionali è la posta in gioco delle varie strategie, ma in cui la conflittualità è definita all'interno di relazioni dove il diritto alla differenza, all'invisibilità e la possibilità di fuoriuscita» appare garantito prima di ogni altra cosa. (A. Dal Lago, p. 16) Un sistema di relazioni che opera con dei beni e dei valori la cui portata non partecipa della dimensione progressiva, relativa alla civiltà, ma di quella primitiva, relativa al vivente. Si tratta, infatti, di beni e valori «appartenenti alla sfera privata e intraducibili in moneta (o di cui il valore monetario costituisce una rappresentazione riduttiva), come l'equilibrio della famiglia, l'educazione dei figli, la sicurezza o la gestione dell'insicurezza, in una parola l'arte di vivere.» (A. Dal Lago,  p.17) Questi di cui si parla sono dei beni e dei valori che, non solo si differenziano da quelli relativi alla ricchezza monetaria, ma anche si oppongono ad essi e vi si sostituscono. E che, inoltre, possono appartenere solo a coloro i quali, per aver rinunciato ad aderire al regime tradizionale di equivalenza nel rapporto tempo-denaro e in quello costi-benefici, sono inscritti volontariamente o involontariamente all'interno del sistema che Albert Hirschman ha chiamato della «fusione (e confusione) tra ricerca e obiettivo, altrettanto bene che il desiderio d'investire nell'identità individuale o nell'identità di gruppo.» (A. Hirschman, p. 150). Nel tipo di dinamiche di coesione di cui si tratta, è all'opera la particolare forma di scambio simbolico che concerne la sfera dei guadagni sociali: è, infatti, attraverso lo speciale oggetto di negoziazione in gioco in questa peculiare specie di terreno che queste dinamiche, grazie alla facoltà della previsione creativa, hanno potuto fare breccia nella società fino ad instaurare nuovi modelli relazionali di comportamento ed una nuova razionalità dell'azione collettiva.

6. Particolarismo geografico e globalismo culturale

«Vaclav Havel non perde occasione per sostenere la necessità di entità politiche sovranazionali, ma al tempo stesso insiste sulla necessità che venga incondizionatamente riconosciuto il diritto di tutte le nazioni a decidere della propria sorte.  [...]   Non si rifiuta all'altro ciò che un tempo si è reclamato per sé. Non si ha il diritto di essere arroganti quando si è provato cosa significhi essere vittime dell'arroganza.» (M. Kundera)

Nell'oggi, dunque, riguardo allo scontro tra politica tutt'intera ed esistenza materiale della collettività, è possibile intravedere già distintamente i contorni di una nuova dinamica che si mette decisamente in luce. Da un lato, si vedono le differenti popolazioni mescolarsi senza sosta le une con le altre attraverso matrimoni misti sempre più frequenti: con rapidi avanzamenti e bruschi ritorni indietro, l'esogamia non pone quasi più problema a nessuna cultura del sistema-mondo. D'altro lato, si percepisce chiaramente come l'estrema mobilità del lavoro e l'emigrazione di massa hanno travolto le abitudini tradizionali di vicinato. Da un terzo lato, si diffonde su scala sempre più vasta il passaggio dal modello di legittimità dei sistemi politici «fondato sul Volk», in cui l'identità del popolo «trascende non solo i singoli cittadini, ma lo stesso aggregato di tutti i cittadini in un dato momento»; o di tipo ideologico, all'interno del quale «un partito politico interpreta il corso d'azione necessario per realizzare la società giusta»; ad uno stadio pluralista: in cui, cioè, «la legittimazione viene dalla soddisfazione degli interessi che costituiscono il popolo». (A. Pizzorno p. 150) Modello che promuove «Lo sviluppo di uno stile politico pluralista e secolarizzato, con il suo accento sulla negoziabilità di tutti gli obiettivi, la perdita di definizione ideologica subita dai partiti, e l'abbandono delle identificazioni nazionalistiche». (A. Pizzorno p. 154) Da un quarto lato, si deve assumere come un dato di fatto il fondamentale emergere di un plurilinguismo diffuso la cui continua espansione permetterà sempre di più a tutti i singoli individui di comunicare al di fuori del limite obbligato del proprio paese e della propria cultura di origine.
Il fenomeno del plurilinguismo risulta come veramente determinante e decisivo per lo scenario che qui si sta disegnando. Infatti, lungo molti secoli è stata perseguita la realizzazione di quello che può essere definito come uno dei miti fondatori dell'Occidente. Il mito cui si fa riferimento riguarda il tentativo di rimettere in piedi la torre di Babele: il tentativo di costruzione artificiale di lingue universali che potessero far comunicare tra loro esseri umani provenienti da aree geografiche diverse e depositari di culture differenti. Il sogno di coniare una lingua universale artificiale, cioè un linguaggio cosiddetto a posteriori, o di ritrovare una lingua matrice che fosse all'origine di tutte le lingue, un linguaggio a priori - come quello relativo alle strutture profonde di Noam Chomsky - è stato presente lungo la storia dell'umanità a partire da ancora prima dell'epoca della creazione del mito di Orfeo - il quale, secondo la leggenda, poteva comunicare persino con le bestie selvagge della foresta - e fino a dopo l'invenzione, nel secolo scorso, dell'esperanto. Le innumerevoli ricerche che sono state sollecitate da questo mito, nonostante non siano mai approdate all'obiettivo auspicato, non sono state del tutto inutili perché si sono risolte in un'intensa riflessione sul linguaggio umano e alcune di queste lingue astratte, coniate soprattutto nell'attuale millennio, sono state prese in considerazione da chi lavora sull'intelligenza artificiale per la costruzione dei linguaggi informatici: seppure al prezzo dell'abbandono di qualsiasi opzione semantica e dell'essere considerate solo come corpi di regole in grado di manipolare delle grandezze statistiche astratte qualificanti un messaggio indipendentemente dal suo significato. In ogni caso, quello presente è il momento in cui questo mito appare drasticamente interrotto e risulta definitivamente assodato come l'unica universalità di linguaggio sia quella insita nella capacità umana di apprendere non una sola ma molteplici lingue: non solo la lingua materna o naturale, ma anche tutte le altre lingue parlate nel mondo, persino quelle morte. Certo, si deve sottolineare che con l'avanzare dell'età questa capacità di apprendimento tende a diminuire di molto; ma, ancora più sicuramente, si può dire che le possibilità di comunicare con esseri umani di culture differenti sono solo due: la trasmissione d'informazioni veicolata dal mostrare, cioè mediata dall'atto di esporre o di esporsi - le immagini, i gesti, ecc. - e quella di sfruttare la facoltà del plurilinguismo: la facoltà di apprendere, insieme alla lingua materna, anche altre lingue, nella misura delle possibilità e dell'interesse di ciascuno. In relazione al manifestarsi di questo insieme di avvenimenti di cui si è detto, l'insorgere simultaneo, in molteplici zone del mondo, degli attuali particolarismi geografici e di forme diffuse di regionalismo, segna non l'argine ma, in un certo senso, l'emergenza stessa del suo spedito procedere: un modo di procedere che spinge in direzione dell'adozione di forme politiche di tipo confederativo. Infatti, questo rafforzarsi di spinte localistiche deve essere interpretato, da un punto di vista diacronico, come il processo correlato alla necessità di sottrarsi al fantasma della decisione politica così com'era intesa nell'epoca industriale e nel vecchio sistema degli stati sovrani nazionali. Decisione che si giocava tutta a partire da una volontà irradiantesi in cerchi concentrici da parte di un nucleo monopolizzatore verso la periferia degli interessi dei singoli soggetti sociali considerati come agenti politici solo in quanto interlocutori: cioè nell' esclusiva logica della loro forza consensuale di volta in volta prestata ad una o ad un'altra faccia del poliedro centrale. In questa nuova situazione, dunque, la nozione di nazione finisce per dissolversi e, la connessione transitoria tra ethnos e demos, sul sostegno della quale si era fondato il nucleo mitico e politico sia delle aggregazioni nazionali che della legittimità ad autoriprodursi da parte della forma moderna di Stato, tende a scomparire.


7. Volere solo la libertà e non il comando

«Volere è in se stesso comandare.» (F. Nietzsche)

Tirando le fila di questa riflessione, si può dire che «Il luogo della libertà è ben diverso dalla semplice opposizione, e non si trova neppure mediante la fuga. Noi a questo luogo abbiamo dato il nome di bosco.  [...]    In questo mondo noi riconosciamo la libertà del singolo nel suo passaggio al bosco. E non si può descrivere altresì la difficoltà di essere un singolo in questo mondo.» (E. Jünger 1, p. 29) Dunque, l'orizzonte dell'agire politico nella nostra epoca prende corpo, in un certo senso, proprio nella possibilità delle singolarità sociali di divenire Waldgänger, letteralmente nel loro poter passare al bosco, ritrarsi nella foresta, darsi alla macchia: «trasmigrare in un ordine diverso, invisibile, che abbiamo individuato come l'ordine di quelli che passano al bosco.» (E. Jünger 1, p. 51.) Ora, «il bosco è ovunque, anche nei sobborghi di una metropoli.» (E. Jünger 1, p. 81) Ma, ciò che lo caratterizza come tale è che esso designa un luogo in quanto al suo interno risiede una Lichtung: in cui, cioè, è possibile l'aprirsi di una radura. L'improvviso schiudersi dello spazio luminoso affogato nel buio che contrassegna la dimensione immaginale: lo spalancarsi, tra le pieghe opache dell'oscurità, di un fascio abbagliante di luce che, nonostante accechi, dona un'illuminazione profana. Lì dove, nella notte che è anche un sole, si rende possibile fin nella sua irrealizzabilità e nella sua inoperabilità, quell' eterogeneità dell'esistenza che permette un agire scevro dalla sottomissione all'utilità, alla performatività, al profitto: un agire sovrano. «In fondo al bosco, come nella stanza in cui i due amanti si spogliano, il riso e la poesia si liberano. Fuori dal bosco come fuori dalla stanza, si ricerca l'azione utile, alla quale ogni uomo appartiene. Ma ogni uomo, morendo vi si sottrae... La mia follia nel bosco regna sovrana... Chi potrebbe sopprimere la morte? Dò fuoco al bosco, le fiamme del riso sfavillano.» (G. Bataille, p. 157) Istruiti dalla vita di bosco e dal buio che è anche una luce, si è, dunque, finalmente e indefinitivamente pronti per quella disposizione insieme arcaica e futuribile che Hans Blumemberg descrive come di adesione a «l'esperienza della libertà dallo scopo»: «La vita richiede utilità, però concede ai suoi favoriti l'esperienza della libertà dallo scopo. É da qui che nasce ogni civiltà. Già nelle sue manifestazioni più primitive, negli ornamenti come nella decorazione sugli oggetti d'uso, è contenuto il gesto dell'acquisto della libertà dallo scopo, della sospensione dell'economia. Dall' esitazione come momentanea perplessità, come pura utilizzazione di un rinvio, può nascere la condizione che ha un valore di vita diverso da quello dell'esame delle scelte.» (H. Blumemberg, p. 7) Presso un tale ordine diverso e invisibile, all'interno di un tale sistema in cui si è in grado di sottrarsi al lavoro e all'azione utile, diviene in un certo senso possibile l'atto sovrano di «operare come degli artisti», secondo un'indicazione offerta da Michel de Certau. Operare come degli artisti significa distinguere un'utilità di processo da un'utilità d'obiettivo, sostenere il primato dell'immaginario sul reale e rifiutare di sussistere nella dimensione del dover essere: restare nel campo di forza dell'attuale senza riconoscere né debiti al passato né speranze di redenzione al futuro. Infatti, la società immaginale, promuovendo la separazione della volontà dalla realizzazione dell'obiettivo, dà l'opportunità per una nuova e più ricca libertà poiché, in seguito a questa scissione, la volontà perde la sua attitudine all'imposizione e al comando. «Volere solo la libertà e non il comando» non è nient'altro che la xenofilia realizzata: ciò che permette di pensare tutti gli altri uomini con amicizia e comprensione. Questo accade quando «l'idea di una maggiore libertà non ha da attraversare la morte del tiranno. Il tiranno non si può uccidere quando il tiranno è la stessa quantità degli uomini senza poesia e senza pensiero. Che sia la mancanza di poesia e di pensiero, il tiranno, è già questa la libertà, se porta a pensare la poesia e il pensiero come possibilità politica. La politica come poesia e pensiero è l'immaginazione del ritornare di questa stessa libertà insufficiente di cui poter desiderare un allargamento, del suo ritornare senza tiranni, del suo non venire trascinata nella necessità di un fine.» (R. Bordiga, p. 150; cfr. anche V. Nabokov 1938)




Bibliografia


A. AbruzzeseAntagonismo e subalternità nella scrittura [1983], in A. Abruzzese, Materiali di sociologia della letteratura, Ente regionale per il diritto allo studio universitario,  Napoli 1992.
R. ArnheimEntropy and art - An essay on desorder and order [1974], tr. it. di R. Pedio, Arte e entropia - Saggio sul disordine e l'ordine, Einaudi, Torino 1974.
G. Bataille, Le coupable [1944], tr. it. di A. Biancofiore, in G. Bataille Il colpevole / L'Alleuia , Dedalo, Bari 1989.
W. Benjamin, Das Kunstwerk im Zeitalter seiner technischen Reproduzierbarkeit [1937], tr. it. di E. Filippini, L'opera d'arte all'epoca della sua riproducibilità tecnica,  Einaudi, Torino 1966.
H. Blumemberg, Nachdenklichkeit [1980], tr. it. di L. Ritter Santini Pensosità, Elitropia, Reggio Emilia 1981.
R. Bordiga, La possibile euforia della planetarietà, «Marka -  Rivista di confine», La felicità di tutti - La politica e il volto, 28, Editrice Montefeltro, Urbino 1990.
G. Celati, ed., Alice disambientata - Materiali collettivi  [su Alice] per  un manuale di sopravvivenza, L'erba voglio, Milano 1978.
F. Crespi, Imparare ad esistere - Nuovi fondamenti della solidarietà sociale, Donzelli, Roma 1994.
A. Dal Lago, Metamorfosi del  sociale  e strategie di assoggettamento, in «aut aut», nuova serie, Sull'immagine postmoderna, 179-180, La Nuova Italia, Milano 1980.
G. DeleuzeDivenire  rivoluzionario  e creazioni politiche, in  «Marka -  Rivista di confine»,  28, La felicità di  tutti -  La politica e il volto, Editrice Montefeltro, Urbino 1990.
R. Esposito, La  democrazia  come assenza  di comunità, in «Micromega - Le ragioni della sinistra», 1/92, Veutro Editore, Roma 1992.
A. Hirschman, Vers une économie politique élargie - Lessons au Collège de France [1985], tr. fr. dell'autore con la coll. d'Isabelle Chopin, Minuit, Paris 1986.
E. Jünger 1, Der Waldgang [1951], tr. it. di F. Bovoli, Trattato del ribelle, Adelphi, Milano 1991.
E. Jünger 2, Maxima-minima - Adnoten zum "Arbeiter" [1964], tr. fr. di J. Hervier, Maxima-minima - Notes complémentaires pour "Le travailleur", Bourgois, Paris 1992.
M. Kundera, Noi cuore dell'Europa, «La Repubblica», 28.10.95.
N. Luhmann Konfliktpotentiale in sozialen Systemen [1975], tr. it. di G. Gozzi, Il potenziale di conflitto nei sistemi sociali, in N. Luhmann, Potere e codice politico, Feltrinelli, Milano 1982.
V. Nabokov, Istreblenie tiranov [1938], tr. fr. di G.-H. Durand, dall'ed. american, Tyrants destroyed [1956], L'extermination des tyrans, Julliard, U.G.E. 10/18, Paris 1977.
A. Pizzorno, Identità e interesse [1978], in Loredana Sciolla ed., Identità - Percorsi di analisi in sociologia, Rosenberg & Sellier, Torino 1983.
A.Schütz, Der sinnhafte Aufbau der sozialen Welt [1932], tr. it. di F. Bassani dalla II ed. Springer-Verlag, Wien 1960; La fenomenologia del mondo sociale, Il Mulino, Bologna 1974.
E. Tadini, Outremer, in A. Matarasso, E. Tadini e C. Bouillé, Fuites..., Galerie du Centre, Paris 1993.
P. Virilio, Le dernier véhicule [1987], tr. it. di G. Paci e M.-L. Stazio, L'ultimo veicolo, in A. Abruzzese e A. Piromallo edd., Videoculture di fine secolo, Liguori, Napoli 1989.

Aucun commentaire:

Enregistrer un commentaire