Sommario: 1. Il sistema
integrato delle immagini tecniche; 2. Per la xenofilia; 3. Der Waldgänger; 4. Il diritto alla fuga; 5. Fusione (e
confusione) tra ricerca e obiettivo; 6. Particolarismo geografico e globalismo
culturale; 7. Volere solo la libertà e non il comando;
1. Il sistema
integrato delle immagini tecniche
«Il nomade che
viaggia senza radici e senza casa
non è altro
che l'uomo della tecnica» (E. Jünger)
L'universo sociale contemporaneo si è
sviluppato in correlazione con un evento fondamentale: la proliferazione
generalizzata delle immagini e del loro modello costitutivo in tutti gli ambiti
dell'esperienza umana. Si tratta di ciò che può essere definito come il momento
in cui la tecnica dispiega in tutta la sua potenza un'azione modellizzante di
organizzazione strutturale del mondo. Confusamente assemblate nel panorama
metropolitano, proposte singolarmente sui giornali o nei manifesti
pubblicitari, offerte nel montaggio rapidissimo, disordinato e travolgente di
una sequenza cinematografica o televisiva, le immagini tecniche risultano in
grado di promuovere il proprio sistema di produzione sociale di realtà come
modello universale: un sistema di strutturazione socio-antropologica in base al
quale gli attori sociali, invece di servirsi delle immagini per orientarsi nel
mondo, passano direttamente a vivere, desiderare, valutare, conoscere e agire
per mezzo di esse. Tecnologie come la telematica, idonee a convogliare
in un unico contesto immagini, suoni e parole, danno vita ad un complesso di
collegamenti trasversali fra ricevitori, in grado d'interrompere
l'interdizione millenaria che da sempre ha impedito alla maggior parte degli
individui d'avere accesso alle forme istituzionalizzate della comunicazione
sociale; di annientare i confini linguistici e geopolitici; d'inaugurare un
inedito rapporto con il passato e con la tradizione; di proporre computer,
televisione e tv-set come nuovi quadri sociali della memoria. Si comincia così
a scoprire che le immagini tecniche non sono necessariamente portatrici di
discorsi imperativi, ma, soprattutto, di dialoghi intersoggettivi.
Identificando il discorso con il totalitarismo e il dialogo con la democrazia,
possiamo constatare, allora, che la struttura comunicologica della nostra epoca
rende concretamente presente una società cosmico-democratica, il villaggio
globale di Mc Luhan: una situazione in cui la cultura del lavoro si è infranta
sulle asperità umane del sociale e i conflitti tra fronti politici si sono
sciolti nello scontro tra politica tutt'intera ed esistenza materiale della
collettività. É sufficiente fare riferimento alla vita quotidiana di una
qualsiasi metropoli per verificare che nello stesso spazio coesistono persone
la cui differente provenienza non impedisce di coabitare, ma che non hanno
necessariamente dei sistemi comuni di codificazione simbolico-normativa. La
loro interazione attraversa più livelli di convenzioni comuni, ma mette anche
in evidenza dei minimi o dei massimi d'indifferenza, di non contatto, di
diffidenza e di conflitto aperto. Occorre, dunque, comprendere che le
interruzioni nella comunicazione, le ostilità, le contese, i contrasti violenti
o non violenti tra culture diverse e la coesistenza nella diffidenza non sono
necessariamente negativi e possono costituire, invece, l'incongruità iniziale
di un nuovo tipo d'incontro umano e di scambio sociosimbolico: una forma dei
rapporti sociali che, grazie al sistema integrato delle immagini tecniche, può
«aprire - e aprirsi a - quello spazio di libertà che coincide con
un'inessenzialità irrimediabile: e cioè con nient'altro dalla propria
esistenza. Essa conserva amorosamente le tracce del proprio "niente
politico". Conserva e attende: anche l'ospite più inaspettato. Il più
straniero; è anzi la sua terra.» (R. Esposito, p. 28) In un tale spazio di
libertà le singolarità sociali possono rinunciare al conflitto o, almeno,
trasformarlo radicalmente, costringerlo a divenire passivo: a mostrarsi sotto forma
di scarto d'intensità, di pratica di resistenza, di strategia di alleanze e
filiazioni, onde e corpuscoli, flussi e oggetti parziali, linee di fuga
infinitesimali. In questo nuovo quadro, infatti, le dinamiche sociali sono
portate a privilegiare dei beni e dei valori appartenenti a quello che Alfred
Schütz chiamava «il mondo della vita». Dei beni e dei valori che non possono in
alcun modo fungere da equivalenti generali per lo scambio, ma appartengono ad
un ambito totalmente differente: quello delle verità personali e fisiche, della
salute o del benessere psico-fisico di ciascun individuo. Entità che sono
oggetto di continue negoziazioni di ognuno con se stesso e di ognuno con gli
altri, ma non sono assolutamente ipostatizzabili in unità di misura commensurabili
in modo omogeneo ed equivalente, né riducibili ad alcuna economia di mercato.
2. Per la
xenofilia
«Anche
noi, siamo dei rifugiati, abbiamo dovuto lasciarla, la nostra casa delle
certezze, delle risposte a tutti i perché. Dove arriveremo? Quale oltremare?
"Nowhere" vuol dire da nessuna parte. Ma questo "nowhere"
contiene - now, here - "qui" e "ora". Un piccolo miracolo
della lingua. É lì che si apre, forse, il nostro oltremare. Al di là del paese
del nulla - nel paese del Qui, dell'Adesso.» (E. Tadini)
Anche nei termini di
una riflessione sociologica sul rapporto tra media e potere, quindi, ciò che fa
problema oggi è l'emergenza di un sistema comunicativo a vocazione planetaria. Tale
sistema, fondato sulla supremazia del mostrare sul dire, sembra inaugurare dei
nuovi criteri di mediazione simbolica in grado di favorire la messa in comune,
la partecipazione, la condivisione: in una parola, dei modelli orchestrali di
comunicazione. All'orizzonte di questo scenario c'è l'intersecazione tra il
sapere occidentale e quello orientale: un movimento che ha vissuto tra i suoi
recenti e più grandiosi passaggi il franare disastroso dell'Impero d'Oriente,
il sistema del socialismo reale. I suoi caratteri principali sono:
1. Il fenomeno
generalizzato delle emigrazioni.
2. La diffusione
massiva di un plurilinguismo che, con una forza d'espansione inarrestabile,
opera nella direzione di abbattere la maggior parte degli interdetti
comunicativi che hanno assillato l'umanità fin dal tempo della caduta della
torre di Babele.
3. La caduta dei
confini geografici nazionali e l'implosione dell'istituto della nazione.
4. La dissoluzione
della bussola geopolitica d'orientamento che divideva il mondo in est-ovest,
nord-sud, centro-periferia, metropoli-suburbio.
«Qui si pone la
questione intermediaria di sapere su chi far ricadere il lavoro umile nel caso
di uno Stato universale. In questo Stato, a causa della sua natura, non ci
possono essere né colonie né sfruttamento di granai, e nemmeno differenze tra
lavoro dei "bianchi" e quello delle "popolazioni di colore"
- tutti quei profitti che gli Stati altamente sviluppati hanno tratto sin
dall'Antichità, grazie alla loro superiorità tecnica, militare e politica,
delle messi e dei prodotti dei territori conquistati: in una parola, i vantaggi
di un lavoro mal pagato o non pagato del tutto.
[...] Che la questione
dell'eliminazione del lavoro servile debba essere risolta con dei mezzi
tecnici, quantitativamente attraverso lo sviluppo di robot e di automi,
qualitativamente con un raffinamento ed una metamorfosi delle materie prime in
modo tale che il loro obiettivo e la loro ampiezza sono ancora quasi
inimmaginabili - ciò deve essere concepito come una delle imprese possibili tra
molte altre, non come un progetto ma come uno dei mezzi del mondo in
formazione. Questo proviene dall'apporto, dalla dote, della Figura
dell'Operaio. L'obiettivo della tecnica è una spiritualizzazione della
terra." (E. Jünger 2, p. 74)
All'epoca del
dominazione compiuta della tecnica, la nozione di agire politico si deve,
dunque, misurare con il tentativo di ricomposizione in nuclei problematici dei
tre livelli fondamentali dove si esprimono con maggiore forza le spinte che
contrastano la formazione del nuovo sistema-mondo nei termini dell'allargamento
delle autonomie, dei diritti e delle pari reciprocità:
1. Il rapporto tra le
differenti storie della civiltà che si sono articolate sia secondo ritmi
diversi di crescita economica ed eterogenei sistemi produttivi che sulla base
di discordanti valori di comunicazione, di scambio sociale e di orientamento
culturale.
2. Il rapporto tra la
natura umana e i sistemi sia ecologici che sociali.
3. Il rapporto tra
natura e cultura, inconscio e coscienza, azione e retroazione, pulsioni e
razionalità: in un orizzonte per il quale la specificità della natura umana non
appare contrassegnata dalla contrapposizione tra uomo e mondo, ma
dall'individuazione della posizione dell'uomo all'interno della natura stessa.
Per questo tentativo
di riconciliazione è fondamentale l'inarrestabile progressione e diffusione
della disposizione alla xenofilia, nonché della lotta in suo favore e in sua
difesa. Questa disposizione, sorta dal seno della società immaginale, si
anuncia come ciò che può agire da punto di riferimento e da indicatore capace
di concatenare tra loro livelli differenti come la transizione e la rivoluzione
o forme politiche diverse come quelle statali, le feudali e le arcaiche. Il
campo di solidarietà dischiuso dalla xenofilia produce una nuova forma di
soggettivazione collettiva in cui ogni soggetto, ogni elemento, ogni segmento
si fa coscienza degli altri: salda se stesso e gli altri nel movimento
relazionale dell'evento, dell'esperienza. Movimento di consumo in cui ciò che è
consumato non è un oggetto, ma un rapporto: in cui, di conseguenza, il sé,
nella sua coscienza-inconsciente, è sempre scisso dalla possibilità impossibile
d'essere se stesso e altrui. Il sistema sociosimbolico di questo nuovo ordine
induce l'uomo a confrontarsi radicalmente con il proprio corpo e ad entrare in
una sorta di stato di ebbrezza nel quale le forze e le pulsioni che provengono
dal suo interno lo spingono a smarrire la nettezza delle polarità
soggetto-oggetto, reale-immaginario, essere-mondo, continuo-discontinuo. Posto
in una tale condizione, l'uomo appare insieme soggetto che agisce e oggetto
patito per l'azione, nello stesso tempo colui che crea e oggetto creato dalla
sua stessa interpretazione-intervento che, a sua volta, si dispiega secondo una
disposizione che gli dà la possibilità di oltrepassare la coscienza riflessiva
del soggetto stesso per situarsi nella dimensione nell'inconscio-conscienza.
Questo spazio è un luogo d'indiscernibilità e un luogo di scambi, dove le
pulsioni agiscono ad un voltaggio più basso come delle protensività e come
delle potenzialità, delle micro-intensità a forza e vettore variabili a
carattere incoativo e ondulatorio. «Oltre che nel loro valore strumentale le
cose ci potranno così apparire come testimonianza del lavoro umano, come
espressione di una realtà culturale e come ricordo del passato. Potremo allora
riconoscere il significato che le cose hanno assunto nella storia
dell'esperienza umana, mettendoci in ascolto del linguaggio delle cose, senza
sovrapporre ad esse una logica dettata solo dalla nostra avidità. [...]
Anche in questo caso viene mostrandosi l'esigenza di riconoscere una
dimensione d'alterità che, se da un lato, appare come un limite, dall'altro,
costituisce, attraverso a richiesta d'attenzione a ciò che è fuori di noi, un
momento de maturazione dell'esperienza esistenziale. [...]
allora la responsabilità verso l'altro si manifesta come assoluto
rispetto della sua differenza e debito infinito nei suoi confronti.» (F.
Crespi, pp. 94, 95, 21)
3. Der Waldgänger
«Poi
è venuto il cinema e con la dinamite dei decimi di secondo ha fatto saltare in
aria questo mondo simile a un carcere; così noi siamo ormai in grado di
intraprendere tranquillamente avventurosi viaggi tra le sue sparse rovine.» (W.
Benjamin )
La società
immaginale, il mondo all'epoca dell'infinita proliferazione d'immagini addestra
a scomporre l'insieme composito della realtà in scene o quadri: l'opacità della
vita sociale diviene improvvisamente squarciata da finestre che schiudono delle
aperture luminose e fantasmagoriche sull'estraneità del fuori. Un panorama
d'immagini che, oltre ad ritagliare il mondo, inquadra anche il modo con il
quale lo spettatore osserva lo spettacolo e, dunque, riporta continuamente gli
oggetti di pensiero all'evento dell'averne fatto esperienza: all'interazione
incessante tra il fuori e il dentro di sé, alla fusione d'esteriore e interiore
che si realizza nella loro apprensione empirica. L'immagine tecnica infatti,
per mezzo della propria inquadratura, guarda gli occhi stessi che la scrutano e
questi occhi, per afferrarla, devono essere capaci di vincere e
d'incorporare l'altro sguardo. In questa costellazione di figure, il movimento
cinetico e la motilità di pensiero s'identificano in una perpetua confusione
tra il sé come oggetto e l'oggetto in quanto altro da sé. Captare e manipolare
un'immagine tecnica significa, pertanto, identificarsi negli altri, fare corpo
con loro, impadronirsi d'un nuovo tempo che è al di là delle categorie
passato-presente-futuro, comunicare con lo spazio nuovo d'un paesaggio che è al
contempo esteriore e interiore: moltiplicare la propria identità nell'immagine
dell'altro. Considerare il mondo come un panorama d'immagini causa la violenta
insoddisfazione di vivere nei limiti d'un'unica personalità - passione per la
maschera, il teatro, il travestimento - e, dunque, comporta un accrescimento
dell'interesse per la condivisione d'identità con gli altri individui -
formazione di gruppi e stile comunitario. Ciò che viene messo in causa è,
dunque, il rapporto del soggetto sociale con se stesso e la possibilità per lui
di riconoscersi in quanto soggetto indipendente e autonomo. Ciò che è prodotto
dalla proliferazione d'immagini tecniche è, allora, la fascinazione per un sé
moltiplicato dagli altri, assorbito da una presenza più ricca. Il che significa
essere sempre e necessariamente esposti alla condizione di uno spossessamento
radicale di se stessi, di un definitivo e perpetuo esilio: condizione che manda
in frantumi l'unità stato-nazione-territorio e spezza risolutivamente l'identità
uomo/cittadino e natività/nazionalità. L'esilio, infatti, si presenta come
l'unico luogo in cui può scegliere di stabilire la propria dimora il Waldgänger: «Colui il quale nel corso degli
eventi si è trovato isolato, senza patria, per vedersi infine consegnato
all'annientamento», ma che, pure, è «deciso a opporre resistenza : il suo
intento è dare battaglia, sia pure disperata.» (E. Jünger 1, pp. 41-42)
La xenofilia si
espande a dismisura privilegiando invece della capacità di produrre linguaggio,
cultura, utile, la facoltà umana di attingere al mito, alla magia, alla
dismisura, al disordine: facendo leva su ciò che, per essere significante a
livello collettivo, si sente come inintelligibile nello scambio comunicativo
tra singoli. Sostenendosi non sul modello omogeneo della produzione, ma su
quello eterogeneo della circolazione: sui molteplici binari della propagazione
e del consumo. Un'eterogeneità che serve a preparare il mondo, successivamente
alla scomparsa del quadro geopolitico disegnato a Yalta sulla polarità
est/ovest, non più alla guerra contro il nemico e all'obbedienza; ma
all'autonomia dei singoli individui ed all'integrazione delle etnie, delle
razze, delle classi, che ne compongono il nuovo mosaico. Un'eterogeneità che
s'instaura a partire dal suo essere situata nel non-luogo dell'esilio, che
detiene in sé come suo irrinunciabile valore quello dell'assenza di ogni
patria, che mantiene come proprio inesauribile compito l'assoluta non
appartenenza a null'altro che alla propria ex-sistenza. Un'eterogeneità che
genera dispositivi di coesione «tra individui che si identificano molto l'uno
nell'altro (si innamorano anche), ma non si identificano più in nessunissimo
capo» (G. Celati, p. 162): un'eterogeneità che non si riconosce in nessunissimo
capo, ne padre, ne testa, ma solo in quell'orizzonte di socialità che Georges
Bataille descriveva come di adesione al carattere acefalo dell'esistenza.
Questo esilio deve essere inteso, dunque, non solo come perdità della casa, Heim,
o della patria, Heimat; ma, soprattutto, come spazio ex-île,
territorio all'interno del quale non è più possibile godere delle garanzie
della polis: luogo eterotopico in cui si può vivere
senza essere sottomessi alle regole del gioco che vigono nella polis, «Luoghi solitamente effimeri (o
adatti a migrazioni periodiche), in cui il flusso narcisistico del protagonismo
individuale e collettivo privilegia una condizione "corporale",
fisicamente disinibita, e ama la casualità dei travestimenti (contro il tempo e
lo spazio), indulgendo con più piacere verso i linguaggi "tribali",
realizzati e garantiti proprio dall'alto livello di "sofisticazione"
tecnologica». Luoghi «in cui abbiamo la misura espressiva di un
"popolo" radicalmente creato ed educato dai media, ibrido dal punto
di vista sociale per quanto attiene all'origine, ma certamente non per quanto
riguarda il gusto e il comportamento, insomma l'immaginazione.» (A. Abruzzese,
pp. 109-10) Luoghi che si presentano, seppure solo come orizzonte e come
limite, cioè nel loro essere assenti, inoperosi, inconfessabili; come l'unica
patria possibile in un mondo dove le potenzialità che offrono i mezzi di
comunicazione di massa hanno aperto la strada all'assoluta autonomia delle
singolarità, ma anche alla loro vertiginosa integrazione. Delle possibilità,
quelle promosse dai mass-media, che operano sia da un punto di vista letterale,
cioè come forme di orientamento che sollecitano grandi masse a trasferirsi dal
proprio luogo di nascita per installarsi momentaneamente o durevolmente non
importa dove; sia da un punto di vista immaginario e simbolico, cioè come
libero accesso al conoscere e al comunicare con luoghi altri, culture
eterogenee ed esseri umani che risiedono o provengono da ogni parte del
sistema-mondo; sia da un punto di vista artificiale o virtuale, cioè come
possibilità di oltrepassare le coordinate spazio-temporali sottoposte alle
leggi della fisica e attraversare gli spazi ipotetici dell'elettronica. La
possibilità di conoscere e di poter comunicare con gli altri senza pregiudizi
d'alcun tipo pongono, da un lato, la questione fondamentale dell'incontro tra
le civiltà occidentali e quelle orientali: la possibilità sempre meno utopica e
più vicina di un nuovo matrimonio tra Alessandro Magno e Rossana nel quale
possa essere celebratata un'altra volta la fusione fisica, intellettuale e
sentimentale, tra l'Europa e l'Asia. E, d'altro lato, impongono all'ordine del
giorno la fuoriscita dall'egemonia esercitata dai popoli di pelle bianca su
quelli di colore.
Di fronte a questa
carta strategica dell'attualità, procediamo ad un'analisi delle possibilità
inscritte in essa con la segreta speranza di pesare sulla scelta dei
combattenti. Perché, dunque, i grandi sconvolgimenti in atto continuino a
procedere nella direzione indicata, è necessario nutrire il più possibile la
disposizione della e alla xenofilia e, per fare ciò, appare come ancora più
necessario decidersi in favore della condizione di un definitivo e perpetuo
esilio.
4. Il diritto alla
fuga
«Fuggire
non significa affatto rinunciare alle azioni, non c'è niente di più attivo di
una fuga. [...] Il grande errore, il solo errore, sarebbe
quello di credere che una linea di fuga consista nel fuggire la vita. Ma fuggire
al contrario significa produrre del reale, creare vita. In un certo modo si può
dire che, in una società, quel che è primario sono le linee, i movimenti di
fuga. Queste, infatti, lungi dal costituire una fuga fuori dal sociale, lungi
dall'essere utopiche o anche
ideologiche, sono invece costitutive del campo sociale, di cui tracciano la
pendenza e le frontiere, tutto il divenire.» (G. Deleuze)
Le procedure in cui
si articolano l'espansione e la contrazione del bisogno di ordine o di
disordine stabiliscono la base di un regolato sviluppo della dinamica
sociobiologica attraverso la possibilità di tenere in equilibrio delle spinte
opposte le une alle altre: per mezzo, cioè, della produzione di sistemi
omeostatici relativi a dinamiche equilibrantesi per autocorrezioni successive
mediante fluttuazioni o catastrofi, oppure squilibrantesi definitivamente in
una spirale che le porta alla distruzione totale. Ma, naturalmente, come ha
scritto Rudolf Arhneim: «l'equilibrio omeostatico consente certo di vivere, ma
poco contribuisce a vivere bene». (R. Arnheim, p. 67) Dunque, se la necessità comporta
uno sforzo e una tensione diretti verso l'equilibrio, verso la sopravvivenza, è
il superfluo che permette di valorizzare la libertà singola e collettiva e,
quest'ultimo, è figlio del contingente, dell'improbabile, del disordine.
Allora, la lotta in favore della xenofilia, cioè a sostegno della possibilità
di trasformare la spinta implosiva relativa alla continua aggressione
rappresentata dall'ineguaglianza reale - la coercizione all'omogeneizzazione di
ritmi temporali e di modelli di produzione sociosimbolica sulla scala del
sistema-mondo - in vettori di attività e di energia che rimandino a forme
d'interazione liberamente scelte, può essere data solo dalla capacità di
volgersi verso la fuga o verso la lotta, verso la fuga e verso la lotta: dispositivi
che sono suscettibili, attraverso il détournement spaziale-intervento
sul sistema sociale in vista di una sua modificazione, di creare eventi,
situazioni, alea, imprevedibilità. In effetti, come ha scritto Albert
Hirschmann: «Gli attori sociali hanno generalmente la scelta tra due modalità
d'azione per lottare»: «si tratta, in primo luogo, della defezione (exit), cioè l'abbandono della relazione
nella quale s'interviene in quanto acquirente di una merce o in quanto membro
di un'organizzazione, che sia un'impresa, una famiglia, un partito politico o
uno Stato; e, in secondo luogo, della protesta (voice), cioè il tentativo di correggere e migliorare questa
stessa relazione esponendo le proprie rimostranze, contestazioni e
rivendicazioni. [...] Fare defezione significa disimpegnarsi da
una relazione stabilita con una persona o una organizzazione. Se questa
relazione risponde ad una funzione vitale, il ritiro non è possibile che se si
ha il modo di riannodare un legame analogo con un'altra persona o un'altra
organizzazione. [...] Inoltre,
frequentemente è necessario coniugare gli sforzi di numerose persone perché la
protesta sia efficace e, dunque, il suo successo dipende dalle possibilità di
realizzazione di un'azione collettiva. Malgrado queste difficoltà, la protesta
esiste o, per meglio dire, essa è arrivata ad esistere. La sua storia è, in
larga misura, quella del diritto di criticare l'autorità, delle salvaguardie
giudiziarie, della protezione contro le rappresaglie (il voto segreto, ad
esempio); è anche quella dell'ascesa dei sindacati e delle associazioni di
utenti o di consumatori. Queste organizzazioni hanno la funzione di fare
intendere la voce di gruppi o d'individui che una volta erano ridotti al
silenzio. Parallelamente, la storia del diritto alla defezione è quella
dell'allargamento del mercato, del diritto alla libera circolazione,
all'emigrazione, all'obiezione di coscienza, al divorzio, ecc.» (A. Hirschman,
pp. 57-58-60) É importante sottolineare come la minaccia o la semplice
consapevolezza che una defezione è possibile conferiscano una forza ed una
sicurezza nuove alla protesta. Oggigiorno, dunque, la coscienza diffusa che la
possibilità di defezione consolidi enormemente la forza di chi si oppone, dona
un'importanza sempre crescente al diritto di fuga e al fatto che esso debba
essere garantito in pari misura di quello di parola, di contestazione o di
replica. Nel contesto attuale, infatti, la possibilità di lasciare una città,
una regione o un continente, è divenuta un elemento capitale della sfera di
agire politico con cui, a giusto titolo, si misura ciascun individuo del
villaggio globale. Prospettiva, questa, che pone una nuova legittimità alla
domanda di apertura delle frontiere, di riduzione dei costi relativi ai mezzi
di trasporto e di comunicazione, di ampliamento della libera circolazione
economica, di estensione della tolleranza religiosa, di espansione
dell'autonomia politica: parole d'ordine che, seppure in modo discontinuo,
stanno entrando di viva forza nel panorama rivendicativo ovunque nel mondo.
Questo processo va difeso e alimentato con tutte le forze disponibili, cioè sia
con quelle dell'intelligenza, sia con quelle del cuore. I dispositivi che fanno
capo a lotta e a fuga, o, come dice Hirschmann, a voice ed a exit, sono delle procedure capaci
di opporre al tempo della ripetizione, della perpetuazione, della riproduzione,
il tempo della resistenza, del mutamento, del nuovo. Un tempo che detiene la
forza d'innescare un processo metaforico d'emergenza: un salto discontinuo tra
livelli disomogenei di organizzazione che implica la capacità non solo di
raggiungere lo scopo, rispondere alle aggressioni; ma anche di cambiare scopo,
di aprirsi al principio eterogeneizzante della tradizione del nuovo, del futuro
anteriore, la cui finalità risiede nel voler ridurre il quantum di
malessere, d'infelicità, di angoscia, di odio, che pesa sull'essere umano.
5. Fusione (e
confusione) tra ricerca e obiettivo
«In
effetti, se il XIX sec. declinante e gli inizi del XX hanno visto l'avvento del
veicolo automobile, veicolo dinamico, ferroviario, stradale quindi
aereo, sembra proprio che la fine dell secolo annunci un'ultima mutazione, con
la prossima venuta del veicolo audiovisuale, veicolo statico, sostituto
dei nostri spostamenti fisici e prolungamento dell'inerzia domiciliare:
un'inerzia che sta al paesaggio percorso come il fermo-immagine sta al film.»
(P. Virilio)
Con l'irremissibile
dissolvimento dello Stato Leviatano, nazionale o sovranazionale che sia, viene
a cadere anche il sistema logico nutritosi sulla giustapposizione e la
rappresentabilità reciproca della forma nuove soggettività sociali contro la
forma-stato, della formazione atomistica contro quella per gruppi, del
molecolare contro il molare: per comprendere bene come «quella odierna è una
società senza vertice e senza centro». (N. Luhmann, p.164) A questo sistema se ne sostituisce un altro
articolantesi sulla complessa negoziazione sistemica tra istanze religiose,
metafisiche, politiche ed economiche; nonché su di una forma del sapere sociale
di tipo circolare e autoreferenziale. In tale circolarità, i differenti ordini
dell'individuale, collettivo, locale e globale coesistono in un unico corpo e
non sono più in opposizione. I conflitti, quindi, si spostano su di un altro
terreno: sulla giustapposizione tra creazione di senso e valori socialmente
condivisi, indeterminatezza dell'agire come evento e determinatezza dei
significati e delle norme condivise. All'interno di questi antagonismi, il
punto cruciale si situa nell'incontro-scontro tra il dinamismo autopoietico dei
singoli segmenti sociali e la loro necessaria interdipendenza che tende a
strutturarli in configurazioni più o meno stabili ed equilibrate: in trame
stabili d'interazione. Ad una estremità, infatti, ci sono le istituzioni: che
fungono da forza d'inerzia che ostacola, ma anche ratifica i mutamenti sociali.
Ad un'altra estremità ci sono, invece, le pratiche sociali minime, che agiscono
nei termini di depositarie dei possibili futuri, di limite e orizzonte del
nuovo, del diverso, del domani. Ne risultano evidenziate e messe in valore
delle pratiche comunicative che acquisiscono senso solo sulla base delle loro
interazioni con i processi relativi ai molteplici teatri d'operazione in cui di
volta in volta si trovano ad operare. Scenario all'interno del quale gli «unici
elementi avvertiti come universalizzabili sono l'amore e la morte, la gioia e
la sofferenza, lo "star bene" e lo "star male", cioè
l'universo emozionale cui fa riferimento un film di cassetta o una buona
campagna pubblicitaria.» (Alberto Abruzzese, p. 107) Le pratiche di cui si
parla stabiliscono dei livelli minimali d'interazione sociale che si fondano su
di un grado bassissimo d'intervento - il semplice innesco di una resistenza - e
s'istituiscono come delle situazioni circolari: come delle strategie complesse
a effetti multipli il cui perno principale viene rilevato a partire dal punto
d'incontro in cui si manifesta la possibilità per delle persone di stare
insieme. In questo tipo tipo di pratiche, in cui i differenti attori lavorano
all'elaborazione di spazi comuni, si possono vedere apparire dei processi
sociali di raccordo, fondati sulla non competizione, che presuppongono
l'instaurazione di distanze tra gli individui solo nei termini di spazi di
gioco e di linee di fuga. Il profilo di circoscrizione di questo campo è di
primaria importanza perché designa l'unico livello sul quale possono
incontrarsi e comunicare tra loro Occidente, Oriente, Nord e Sud del mondo: si
tratta di un modello che si dispiega come una sorgente opaca in grado di
generare una corrente di socialità in cui «sono possibili certamente dei
conflitti, e anzi, la soluzione di quelli personali, interpersonali e
situazionali è la posta in gioco delle varie strategie, ma in cui la
conflittualità è definita all'interno di relazioni dove il diritto alla
differenza, all'invisibilità e la possibilità di fuoriuscita» appare garantito
prima di ogni altra cosa. (A. Dal Lago, p. 16) Un sistema di relazioni che
opera con dei beni e dei valori la cui portata non partecipa della dimensione
progressiva, relativa alla civiltà, ma di quella primitiva, relativa al
vivente. Si tratta, infatti, di beni e valori «appartenenti alla sfera privata
e intraducibili in moneta (o di cui il valore monetario costituisce una rappresentazione
riduttiva), come l'equilibrio della famiglia, l'educazione dei figli, la
sicurezza o la gestione dell'insicurezza, in una parola l'arte di vivere.» (A.
Dal Lago, p.17) Questi di cui si parla
sono dei beni e dei valori che, non solo si differenziano da quelli relativi
alla ricchezza monetaria, ma anche si oppongono ad essi e vi si sostituscono. E
che, inoltre, possono appartenere solo a coloro i quali, per aver rinunciato ad
aderire al regime tradizionale di equivalenza nel rapporto tempo-denaro e in
quello costi-benefici, sono inscritti volontariamente o involontariamente
all'interno del sistema che Albert Hirschman ha chiamato della «fusione (e
confusione) tra ricerca e obiettivo, altrettanto bene che il desiderio
d'investire nell'identità individuale o nell'identità di gruppo.» (A.
Hirschman, p. 150). Nel tipo di dinamiche di coesione di cui si tratta, è
all'opera la particolare forma di scambio simbolico che concerne la sfera dei
guadagni sociali: è, infatti, attraverso lo speciale oggetto di negoziazione in
gioco in questa peculiare specie di terreno che queste dinamiche, grazie alla
facoltà della previsione creativa, hanno potuto fare breccia nella società fino
ad instaurare nuovi modelli relazionali di comportamento ed una nuova razionalità
dell'azione collettiva.
6. Particolarismo
geografico e globalismo culturale
«Vaclav
Havel non perde occasione per sostenere la necessità di entità politiche
sovranazionali, ma al tempo stesso insiste sulla necessità che venga
incondizionatamente riconosciuto il diritto di tutte le nazioni a decidere
della propria sorte. [...] Non si rifiuta all'altro ciò che un tempo si
è reclamato per sé. Non si ha il diritto di essere arroganti quando si è
provato cosa significhi essere vittime dell'arroganza.» (M. Kundera)
Nell'oggi, dunque,
riguardo allo scontro tra politica tutt'intera ed esistenza materiale della
collettività, è possibile intravedere già distintamente i contorni di una nuova
dinamica che si mette decisamente in luce. Da un lato, si vedono le differenti
popolazioni mescolarsi senza sosta le une con le altre attraverso matrimoni
misti sempre più frequenti: con rapidi avanzamenti e bruschi ritorni indietro,
l'esogamia non pone quasi più problema a nessuna cultura del sistema-mondo.
D'altro lato, si percepisce chiaramente come l'estrema mobilità del lavoro e
l'emigrazione di massa hanno travolto le abitudini tradizionali di vicinato. Da
un terzo lato, si diffonde su scala sempre più vasta il passaggio dal modello
di legittimità dei sistemi politici «fondato sul Volk», in cui l'identità del
popolo «trascende non solo i singoli cittadini, ma lo stesso aggregato di tutti
i cittadini in un dato momento»; o di tipo ideologico, all'interno del quale
«un partito politico interpreta il corso d'azione necessario per realizzare la
società giusta»; ad uno stadio pluralista: in cui, cioè, «la legittimazione
viene dalla soddisfazione degli interessi che costituiscono il popolo». (A.
Pizzorno p. 150) Modello che promuove «Lo sviluppo di uno stile politico pluralista
e secolarizzato, con il suo accento sulla negoziabilità di tutti gli obiettivi,
la perdita di definizione ideologica subita dai partiti, e l'abbandono delle
identificazioni nazionalistiche». (A. Pizzorno p. 154) Da un quarto lato, si
deve assumere come un dato di fatto il fondamentale emergere di un
plurilinguismo diffuso la cui continua espansione permetterà sempre di più a
tutti i singoli individui di comunicare al di fuori del limite obbligato del
proprio paese e della propria cultura di origine.
Il fenomeno del
plurilinguismo risulta come veramente determinante e decisivo per lo scenario
che qui si sta disegnando. Infatti, lungo molti secoli è stata perseguita la
realizzazione di quello che può essere definito come uno dei miti fondatori
dell'Occidente. Il mito cui si fa riferimento riguarda il tentativo di
rimettere in piedi la torre di Babele: il tentativo di costruzione artificiale
di lingue universali che potessero far comunicare tra loro esseri umani
provenienti da aree geografiche diverse e depositari di culture differenti. Il
sogno di coniare una lingua universale artificiale, cioè un linguaggio
cosiddetto a posteriori, o di ritrovare una lingua matrice che fosse
all'origine di tutte le lingue, un linguaggio a priori - come quello relativo
alle strutture profonde di Noam Chomsky - è stato presente lungo la storia
dell'umanità a partire da ancora prima dell'epoca della creazione del mito di
Orfeo - il quale, secondo la leggenda, poteva comunicare persino con le bestie
selvagge della foresta - e fino a dopo l'invenzione, nel secolo scorso,
dell'esperanto. Le innumerevoli ricerche che sono state sollecitate da questo
mito, nonostante non siano mai approdate all'obiettivo auspicato, non sono
state del tutto inutili perché si sono risolte in un'intensa riflessione sul
linguaggio umano e alcune di queste lingue astratte, coniate soprattutto
nell'attuale millennio, sono state prese in considerazione da chi lavora
sull'intelligenza artificiale per la costruzione dei linguaggi informatici:
seppure al prezzo dell'abbandono di qualsiasi opzione semantica e dell'essere
considerate solo come corpi di regole in grado di manipolare delle grandezze
statistiche astratte qualificanti un messaggio indipendentemente dal suo
significato. In ogni caso, quello presente è il momento in cui questo mito
appare drasticamente interrotto e risulta definitivamente assodato come l'unica
universalità di linguaggio sia quella insita nella capacità umana di apprendere
non una sola ma molteplici lingue: non solo la lingua materna o naturale, ma
anche tutte le altre lingue parlate nel mondo, persino quelle morte. Certo, si
deve sottolineare che con l'avanzare dell'età questa capacità di apprendimento
tende a diminuire di molto; ma, ancora più sicuramente, si può dire che le
possibilità di comunicare con esseri umani di culture differenti sono solo due:
la trasmissione d'informazioni veicolata dal mostrare, cioè mediata dall'atto
di esporre o di esporsi - le immagini, i gesti, ecc. - e quella di sfruttare la
facoltà del plurilinguismo: la facoltà di apprendere, insieme alla lingua
materna, anche altre lingue, nella misura delle possibilità e dell'interesse di
ciascuno. In relazione al manifestarsi di questo insieme di avvenimenti di cui
si è detto, l'insorgere simultaneo, in molteplici zone del mondo, degli attuali
particolarismi geografici e di forme diffuse di regionalismo, segna non
l'argine ma, in un certo senso, l'emergenza stessa del suo spedito procedere:
un modo di procedere che spinge in direzione dell'adozione di forme politiche di
tipo confederativo. Infatti, questo rafforzarsi di spinte localistiche deve
essere interpretato, da un punto di vista diacronico, come il processo
correlato alla necessità di sottrarsi al fantasma della decisione politica così
com'era intesa nell'epoca industriale e nel vecchio sistema degli stati sovrani
nazionali. Decisione che si giocava tutta a partire da una volontà irradiantesi
in cerchi concentrici da parte di un nucleo monopolizzatore verso la periferia
degli interessi dei singoli soggetti sociali considerati come agenti politici
solo in quanto interlocutori: cioè nell' esclusiva logica della loro forza
consensuale di volta in volta prestata ad una o ad un'altra faccia del poliedro
centrale. In questa nuova situazione, dunque, la nozione di nazione finisce per
dissolversi e, la connessione transitoria tra ethnos e demos, sul
sostegno della quale si era fondato il nucleo mitico e politico sia delle
aggregazioni nazionali che della legittimità ad autoriprodursi da parte della
forma moderna di Stato, tende a scomparire.
7. Volere solo la
libertà e non il comando
«Volere
è in se stesso comandare.» (F. Nietzsche)
Tirando le fila di
questa riflessione, si può dire che «Il luogo della libertà è ben diverso dalla
semplice opposizione, e non si trova neppure mediante la fuga. Noi a questo
luogo abbiamo dato il nome di bosco.
[...] In questo mondo noi
riconosciamo la libertà del singolo nel suo passaggio al bosco. E non si può
descrivere altresì la difficoltà di essere un singolo in questo mondo.» (E.
Jünger 1, p. 29) Dunque, l'orizzonte dell'agire politico nella nostra epoca
prende corpo, in un certo senso, proprio nella possibilità delle singolarità
sociali di divenire Waldgänger, letteralmente nel loro poter passare al
bosco, ritrarsi nella foresta, darsi alla macchia: «trasmigrare in un ordine
diverso, invisibile, che abbiamo individuato come l'ordine di quelli che
passano al bosco.» (E. Jünger 1, p. 51.) Ora, «il bosco è ovunque, anche nei
sobborghi di una metropoli.» (E. Jünger 1, p. 81) Ma, ciò che lo caratterizza
come tale è che esso designa un luogo in quanto al suo interno risiede una Lichtung:
in cui, cioè, è possibile l'aprirsi di una radura. L'improvviso schiudersi
dello spazio luminoso affogato nel buio che contrassegna la dimensione immaginale:
lo spalancarsi, tra le pieghe opache dell'oscurità, di un fascio abbagliante di
luce che, nonostante accechi, dona un'illuminazione profana. Lì dove, nella
notte che è anche un sole, si rende possibile fin nella sua irrealizzabilità e
nella sua inoperabilità, quell' eterogeneità dell'esistenza che permette un
agire scevro dalla sottomissione all'utilità, alla performatività, al profitto:
un agire sovrano. «In fondo al bosco, come nella stanza in cui i due amanti si
spogliano, il riso e la poesia si liberano. Fuori dal bosco come fuori dalla
stanza, si ricerca l'azione utile, alla quale ogni uomo appartiene. Ma ogni
uomo, morendo vi si sottrae... La mia follia nel bosco regna sovrana... Chi
potrebbe sopprimere la morte? Dò fuoco al bosco, le fiamme del riso
sfavillano.» (G. Bataille, p. 157) Istruiti dalla vita di bosco e dal buio che
è anche una luce, si è, dunque, finalmente e indefinitivamente pronti per
quella disposizione insieme arcaica e futuribile che Hans Blumemberg descrive
come di adesione a «l'esperienza della libertà dallo scopo»: «La vita richiede
utilità, però concede ai suoi favoriti l'esperienza della libertà dallo scopo.
É da qui che nasce ogni civiltà. Già nelle sue manifestazioni più primitive,
negli ornamenti come nella decorazione sugli oggetti d'uso, è contenuto il
gesto dell'acquisto della libertà dallo scopo, della sospensione dell'economia.
Dall' esitazione come momentanea perplessità, come pura utilizzazione di un
rinvio, può nascere la condizione che ha un valore di vita diverso da quello
dell'esame delle scelte.» (H. Blumemberg, p. 7) Presso un tale ordine diverso e
invisibile, all'interno di un tale sistema in cui si è in grado di sottrarsi al
lavoro e all'azione utile, diviene in un certo senso possibile l'atto sovrano
di «operare come degli artisti», secondo un'indicazione offerta da Michel de
Certau. Operare come degli artisti significa distinguere un'utilità
di processo da un'utilità d'obiettivo, sostenere il primato dell'immaginario
sul reale e rifiutare di sussistere nella dimensione del dover essere: restare
nel campo di forza dell'attuale senza riconoscere né debiti al passato né
speranze di redenzione al futuro. Infatti, la società immaginale, promuovendo
la separazione della volontà dalla realizzazione dell'obiettivo, dà
l'opportunità per una nuova e più ricca libertà poiché, in seguito a questa
scissione, la volontà perde la sua attitudine all'imposizione e al comando.
«Volere solo la libertà e non il comando» non è nient'altro che la xenofilia
realizzata: ciò che permette di pensare tutti gli altri uomini con amicizia e
comprensione. Questo accade quando «l'idea di una maggiore libertà non ha da
attraversare la morte del tiranno. Il tiranno non si può uccidere quando il
tiranno è la stessa quantità degli uomini senza poesia e senza pensiero. Che
sia la mancanza di poesia e di pensiero, il tiranno, è già questa la libertà,
se porta a pensare la poesia e il pensiero come possibilità politica. La
politica come poesia e pensiero è l'immaginazione del ritornare di questa stessa
libertà insufficiente di cui poter desiderare un allargamento, del suo
ritornare senza tiranni, del suo non venire trascinata nella necessità di un
fine.» (R. Bordiga, p. 150; cfr. anche V. Nabokov 1938)
Bibliografia
A.
Abruzzese, Antagonismo e subalternità nella scrittura
[1983], in A. Abruzzese, Materiali di sociologia della letteratura,
Ente regionale per il diritto allo studio universitario, Napoli 1992.
R.
Arnheim, Entropy and art - An essay on desorder and
order [1974], tr. it. di R. Pedio, Arte e entropia - Saggio sul
disordine e l'ordine, Einaudi, Torino 1974.
G.
Bataille, Le coupable
[1944], tr. it. di A. Biancofiore, in G. Bataille Il colpevole / L'Alleuia ,
Dedalo, Bari 1989.
W.
Benjamin, Das Kunstwerk im
Zeitalter seiner technischen Reproduzierbarkeit [1937], tr. it. di E.
Filippini, L'opera d'arte all'epoca della sua riproducibilità tecnica, Einaudi, Torino 1966.
H.
Blumemberg, Nachdenklichkeit
[1980], tr. it. di L. Ritter Santini Pensosità, Elitropia, Reggio Emilia
1981.
R.
Bordiga, La possibile euforia
della planetarietà, «Marka - Rivista
di confine», La felicità di tutti - La politica e il volto, 28, Editrice
Montefeltro, Urbino 1990.
G. Celati,
ed., Alice disambientata - Materiali collettivi [su Alice] per un manuale di sopravvivenza, L'erba
voglio, Milano 1978.
F.
Crespi, Imparare ad esistere -
Nuovi fondamenti della solidarietà sociale, Donzelli, Roma 1994.
A.
Dal Lago, Metamorfosi del sociale
e strategie di assoggettamento, in «aut aut», nuova serie, Sull'immagine
postmoderna, 179-180, La Nuova Italia, Milano 1980.
G.
Deleuze, Divenire
rivoluzionario e creazioni
politiche, in «Marka - Rivista di confine», 28, La felicità di tutti -
La politica e il volto, Editrice Montefeltro, Urbino 1990.
R.
Esposito, La democrazia
come assenza di comunità, in
«Micromega - Le ragioni della sinistra», 1/92, Veutro Editore, Roma 1992.
A. Hirschman,
Vers une économie politique élargie - Lessons au Collège de France
[1985], tr. fr. dell'autore con la coll. d'Isabelle Chopin, Minuit, Paris 1986.
E.
Jünger 1, Der Waldgang
[1951], tr. it. di F. Bovoli, Trattato del ribelle, Adelphi, Milano
1991.
E. Jünger 2,
Maxima-minima - Adnoten zum "Arbeiter" [1964], tr. fr. di J.
Hervier, Maxima-minima - Notes complémentaires pour "Le
travailleur", Bourgois, Paris 1992.
M. Kundera, Noi cuore dell'Europa,
«La Repubblica», 28.10.95.
N.
Luhmann Konfliktpotentiale in
sozialen Systemen [1975], tr. it. di G. Gozzi, Il potenziale di
conflitto nei sistemi sociali, in N. Luhmann, Potere e codice politico,
Feltrinelli, Milano 1982.
V.
Nabokov, Istreblenie tiranov
[1938], tr. fr. di G.-H. Durand, dall'ed. american, Tyrants destroyed [1956],
L'extermination des tyrans, Julliard, U.G.E. 10/18, Paris 1977.
A.
Pizzorno, Identità e interesse
[1978], in Loredana Sciolla ed., Identità - Percorsi di analisi in
sociologia, Rosenberg & Sellier, Torino 1983.
A.Schütz, Der
sinnhafte Aufbau der sozialen Welt [1932], tr. it. di F. Bassani dalla II
ed. Springer-Verlag,
Wien 1960; La fenomenologia del mondo sociale, Il Mulino, Bologna 1974.
E.
Tadini, Outremer, in A.
Matarasso, E. Tadini e C. Bouillé, Fuites..., Galerie du Centre, Paris
1993.
P.
Virilio, Le dernier véhicule
[1987], tr. it. di G. Paci e M.-L. Stazio, L'ultimo veicolo, in A.
Abruzzese e A. Piromallo edd., Videoculture di fine secolo, Liguori,
Napoli 1989.
Aucun commentaire:
Enregistrer un commentaire